La scossa di Stavanger

di Dario Mione

(editoriale TCS luglio-agosto 2025)

TCS-0725C’è stato un tempo in cui Magnus Carlsen pareva dominare il mondo degli scacchi con la serenità imperturbabile di un monaco zen. Quel tempo, ormai, è passato. Durante il sesto turno del supertorneo Norway Chess, il fuoriclasse norvegese ha perso una partita classica contro il diciottenne Gukesh, nuovo campione del mondo. Ma invece di abbandonare, dopo la mossa vincente del suo avversario, Carlsen ha reagito con un gesto inconsulto: un sonoro pugno sul tavolo. Un attimo di frustrazione che ha fatto il giro del web, diventando virale e generando una valanga di commenti, meme, critiche e riflessioni. Perché quel gesto dice molto più di mille parole. Dice che Carlsen, oggi, non si diverte più. Del resto lo ha ammesso lui stesso: la cadenza classica lo stanca, la trova meno stimolante rispetto al passato, forse persino obsoleta. Il lungo tempo di riflessione, l’attesa tra le mosse, la tensione trattenuta per ore intere – tutto ciò che un tempo costituiva il bello della lentezza, oggi appare un fardello. E proprio da qui nasce una domanda che aleggia da tempo e a cui presto sarà necessario dare una risposta: che futuro hanno gli scacchi classici in un’epoca di partite veloci, streaming e spettacolarità digitale?
L’episodio di Stavanger è emblematico, perché mette a confronto due epoche. Da un lato, un ex-campione che domina tuttora la scena, simbolo dell’eccellenza tecnica; dall’altro, un giovane rappresentante della nuova generazione indiana, cresciuto tra motori di analisi, bullet e tornei online. Gukesh non ha tremato di fronte al “mito Magnus”. Ha giocato con freddezza e lucidità, quasi impersonale, vincendo con quella che molti definirebbero una buona dose di fortuna, ma che a conti fatti è frutto di studio costante e approccio moderno al gioco. Oggi i vari Gukesh, Praggnanandhaa, Keymer e Abdusattorov non hanno tempo da perdere: vogliono giocare, imparare, vincere e farlo subito. Il formato classico rischia di risultare sempre meno attraente, sia per loro sia per il pubblico globale abituato al ritmo frenetico di Twitch, YouTube e bullet online.
Il gesto di Carlsen, allora, non è solo uno sfogo personale. È un campanello d’allarme. O forse il suono di una campana che segna la fine di un’era. Gli scacchi classici, pur con il loro fascino, ad altissimo livello devono trovare nuove forme di attrattiva. Non possono restare immobili mentre il mondo cambia. E la Fide, presto o tardi, dovrà tenere conto di tutto questo adeguando al tempo presente, come già caldeggiato dallo stesso Carlsen, il format del ciclo mondiale.
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