Cinema: “Scacco alla follia” (1960)

di Ettore Ridola
(da “Mosse pericolose”, ediz. Messaggerie Scacchistiche – 1995)

Ispirato al famoso racconto scritto da Stefan Zweig nel 1941 (pubblicato nel 1943 dopo la morte per suicidio in Brasile dell’autore) e presentato al Festival di Venezia nel 1960 con il titolo «Scacco alla follia» (in tutto il mondo è però noto come «The Royal Game»), il film vanta un ottimo Curd Jurgens nei panni di un avvocato austriaco (il Dottor B.) schachnovelle-z-closerche, incarcerato dalla Gestapo, si dedica agli scacchi giocando sulla scacchiera formata dall’ombra delle sbarre sul pavimento della sua cella.
Rimesso in libertà dopo un collasso, fugge dal proprio Paese e dal nazismo alla volta del Nuovo Mondo. Incontra in crociera il campione mondiale, Mirko Czentovic (Mario Adorf). La nave, dunque, territorio dalle coordinate continuamente mutevoli, fa da scenario alla vicenda. E finisce per essere una sorta di carcere galleggiante da cui l’evasione è impossibile. Il Dottor B., sulla nave, si materializza un giorno alle spalle di un gruppo di passeggeri intenti a una partita, che volge a favore del Campione, indotto a misurarsi con poveri dilettanti da un ingaggio cospicuo. Egli dissuade la combriccola da una mossa esiziale o, meglio, che si rivelerà esiziale all’analisi incredibilmente lucida e approfondita che ne fa sul filo della memoria. Riesce a pilotare gli sprovveduti verso una imprevedibile patta suscitando lo stupore di Czentovic. È ovvio che i due dovranno battersi. Sono arrivati al rendez-vous che era stato per loro sancito dal Fato.
In entrambi serpeggia la follia; il campione, pressoché analfabeta, è come un ragno, perduto se lo togli dalla sua ragnatela. La sua abilità, il suo genio devono lambire la scacchiera, schachnovelle-5-rcm0x1920uhanno bisogno dei «pezzi», non possono prescindere dai «materiali». Di scacchi egli si nutre, come il ragno della mosca caduta nella trappola.
L’antagonista è un idiot-savant dell’immaginario, destinato alla divisione di sé, alla schizofrenia. Sa unicamente giocare alla cieca con i pezzi che il suo cervello autoproduce. La scacchiera lo disorienta, la concretezza di Cavalli, Torri, Pedoni lo lascia incredulo. Pareggia la prima partita, sta per vincere la seconda, quando è nuovamente colpito da un collasso.
Come ha scritto Ladislao Mittner, «è un’altra volta la fine del “mondo di ieri”». Ma nel bianco e nero del film c’è qualcosa di più, secondo il giornalista Alberto Papuzzi: gli scacchi sono la follia razionale contro la follia irrazionale del nazismo: l’avvocato perde proprio per questo, perché gli scacchi hanno un significato nella sua vita, egli non è il campione robot, che trasforma gli scacchi in uno sport. I suoi scacchi sono un’emozione, non un meccanismo competitivo.